Intervento dell’Avv. Prof. Stefano Loconte, Managing Partner Loconte & Partners Studio Legale e Tributario
Alcuni recenti dati pubblicati dall’Osservatorio sulla responsabilità medica hanno ricordato a tutti gli operatori del settore una triste realtà: in Italia ogni anno vi sono circa 34.000 denunce per danni subiti in strutture ospedaliere. Negli scorsi mesi, inoltre, ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) ha dichiarato che circa l’80% delle denunce di errori o malpractice mediche sfocia in un risarcimento per il paziente. Si tratta di numeri importanti che descrivono un sistema sanitario in cui l’errore medico (anzi la richiesta risarcitoria basata sull’errore o presunto tale) sembra costituire la regola. Ciò impone alle strutture sanitarie di ripensare e adeguare la propria policy, diventando proattive nella gestione dei sinistri prima di venirne travolte.
È infatti noto che, se l’errore viene commesso da un professionista sanitario, la struttura da cui egli dipende (o che comunque lo ha incaricato di svolgere detta prestazione) è chiamata a rispondere delle conseguenze economiche insieme al medico stesso, persino laddove la causa dell’accaduto non sia direttamente riconducibile a quanto di competenza della struttura stessa, che è coinvolta in prima linea anche nei casi di puro e semplice errore umano. Se è vero che l’azienda condannata a risarcire il paziente per errore (anche) imputabile al medico può agire in via di rivalsa contro quest’ultimo per recuperare quanto ha pagato; è altrettanto vero che le norme del codice civile, del CCNL Sanità, e dei Testi Unici sui pubblici dipendenti limitano tale possibilità alle sole ipotesi di dolo o colpa grave del professionista e che solo qualche Ufficio Giudiziario consente il regresso anche al di fuori di tali ipotesi.
Un quadro preoccupante, aggravato dall’aumento dei premi delle assicurazioni
Ad aggravare ulteriormente il quadro della situazione ci pensa l’andamento del mercato assicurativo. Il crescente numero di indennizzi pagato dalle compagnie (di importo mediamente pari al 160% di quello del premio incassato) ha determinato un vertiginoso aumento dei premi richiesti alle strutture sanitarie, con il prevedibile effetto boomerang per cui, nel solo 2011, il 15% delle strutture assicurate non ha rinnovato la propria polizza a causa del costo eccessivo o del diniego da parte dell’assicurazione dovuto a sinistrosità troppo elevate. È fin troppo facile osservare come tale assenza di copertura assicurativa determina una situazione ancora più pericolosa sotto il profilo patrimoniale, perché espone direttamente le aziende alle conseguenze di un’eventuale azione risarcitoria oltre a tutelare di meno il paziente e in linea generale la salute pubblica. Quali a questo punto le componenti che incidono sul costo finale in caso di errore medico? Il ruolo primario spetta sicuramente al risarcimento. Sotto questo profilo, una certa ventata di novità è stata portata dalla legge Balduzzi che ha reso obbligatorio il ricorso alle tabelle del Codice delle Assicurazioni nella liquidazione del danno biologico.
Questa scelta ha contribuito a stabilizzare maggiormente i risarcimenti oltre a renderli più prevedibili, anche se sotto il profilo della quantificazione vera e propria essi continuano a incidere in misura fin troppo onerosa sui bilanci delle strutture sanitarie, spesso mettendone a repentaglio l’operatività. Accanto ai risarcimenti, non vanno però sottovalutate le ulteriori voci del costo finale legate ai tempi e agli oneri dello svolgimento dei processi civili e penali. Esse consistono nelle spese legali, nei costi delle inevitabili perizie e nell’aumentare degli importi dovuti per via della rivalutazione delle somme, che incrementa il quantum risarcitorio man mano che aumenta la distanza temporale tra sinistro e liquidazione del danno.
Tempi lunghi si traducono in risarcimenti a volte raddoppiati
L’incremento del costo finale per l’azienda - a seguito del trascorrere del tempo – si denota anche da altri interessanti dati recentemente forniti dall’ANIA. Secondo l’Associazione, la stima del costo finale dell’apertura di un sinistro aumenta progressivamente negli anni, arrivando addirittura a raddoppiare in qualche caso. L’esempio fatto dall’ANIA è quello dei sinistri aperti nel 1994: nel 2002 le Compagnie Assicurative stimavano per quelli ancora pendenti un costo medio finale di poco superiore ai 18.000 Euro. Nel 2012, invece, la stima toccava quota 36.000 Euro per sinistro. Ne consegue che più lunga è la “vita” di un sinistro, maggiore sarà il suo costo finale. Quanto prima le strutture sanitarie si attivano pertanto, a definire tali vicende tanto più incisiva potrà essere la loro azione sotto il profilo del risparmio.
È noto che la lunghezza dei tempi nella definizione dei sinistri è legata principalmente (se non esclusivamente) alla lentezza degli Uffici Giudiziari e all’acredine che caratterizza il comportamento delle parti in processi così impegnativi, delicati e dispendiosi.
L’efficacia della mediazione nella risoluzione delle controversie
A fronte di questi problemi, uno strumento che si sta dimostrando efficace è quello degli ADR (dall'acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution), ossia i metodi di risoluzione delle controversie alternativi ai giudizi di merito. Fra questi spicca la mediazione, disciplinata dal D.L. n. 69 del 2013 (Decreto del Fare), convertito in L. n. 98 del 2013, consistente in un vero e proprio tentativo obbligatorio, della durata massima di tre mesi, di ricerca di un accordo fra le parti che si scambiano le reciproche richieste e offerte innanzi a un soggetto terzo, ovvero il mediatore. Per giunta, il tentativo di mediazione è obbligatorio qualora la vicenda abbia come oggetto la «responsabilità medica e sanitaria». L’onere di adire l’organo di conciliazione spetta all’attore e dunque, nel caso di responsabilità medica, al paziente: per questo è nella discrezione delle strutture sanitarie convenute scegliere se prendervi parte o meno. Il riscontrato rapporto di proporzionalità diretta tra vita del sinistro e costo finale dovrebbe suggerire alle aziende di cogliere l’occasione fornita da tale tentativo. In tal senso è positivo che, secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, nel primo trimestre del 2015 il 43% dei tentativi di mediazione è giunto ad un risultato conciliativo (il dato è riferito a procedimenti relativi a tutte le materie e non solo a quella medico-sanitaria).
Affinché tale tentativo costituisca un effettivo strumento di risparmio, però, è necessario sedersi al tavolo delle trattative con le idee chiare sui possibili esiti della vicenda e sul quantum dell’ipotetico risarcimento. Essere in grado di formulare un’offerta congrua (e cioè né difensivamente “bassa” né timorosamente “alta”) costituisce sicuramente il miglior modo per giungere a una ragionevole definizione anticipata della vicenda, ovvero per stabilire un precedente in grado di influire efficacemente sulla quantificazione delle spese legali all’esito del giudizio in caso di mancato accordo. Il punto su cui focalizzare l’attenzione nel migliorare i processi interni dell’azienda, pertanto, è quello di cercare di capire come arrivare in sede di mediazione già con le idee chiare sugli aspetti medici e giuridici della vicenda.
Gli errori e le strutture sanitarie non adeguatamente organizzate
Sotto il primo profilo, i target da tenere in considerazione sono sicuramente quelli della completezza delle informazioni sull’accaduto e dell’obiettiva valutazione tecnica degli stessi. Come evidenziato da numerosi manager sanitari, l’attenzione va posta non solo sugli errori degli operatori che hanno un contatto diretto con il paziente, ma su tutta la struttura. Gran parte delle situazioni problematiche trova la propria genesi nelle carenze organizzative, nel mancato adeguamento alle normative di settore, nella mancata circolazione di informazioni e nella gestione del personale. Ne sono una dimostrazione i 430 ricorsi e le tre class action dei medici pugliesi contro alcune strutture non adeguatesi alla Direttiva Europea n. 88 del 2003, che prescrive 11 ore di riposo fra un turno e l'altro.
Pur non coinvolgendo direttamente il paziente, queste attività influiscono sulla prestazione finale in maniera molto più incisiva di quanto si possa pensare a prima vista. Si tratta di aspetti direttamente riconducibili alla struttura sanitaria, le cui conseguenze negative, pertanto, non possono essere oggetto di rivalsa nei confronti dei medici. Lavorando (anche) su queste criticità, si può valutare adeguatamente quanto accaduto negli specifici casi e realizzare un appropriato sistema di prevenzione dei rischi, che si basi sull’analisi statistica degli errori e sui corrispondenti interventi correttivi e soprattutto precauzionali. Sotto il profilo giuridico, i dati emergenti dalle attività interne alla struttura devono essere valutati tenendo conto del mutevole quadro normativo e giurisprudenziale, che in questo campo riserva grandi novità (non ultima, la tanto attesa legge di riforma che ancora è al vaglio del Parlamento), da operatori aggiornati e con attitudine alla negoziazione, in grado di elaborarli e formulare verosimili prognosi sull’esito di un’eventuale azione giudiziale, in modo da poter accedere alla mediazione nel modo più efficace ed efficiente possibile.