05-04-2024
di Carlo Rafele, Professore Ordinario, Dipartimento Ingegneria Gestionale, Politecnico di Torino
di Carlo Rafele, Professore Ordinario, Dipartimento Ingegneria Gestionale, Politecnico di Torino
Il titolo dell’editoriale prende spunto da un articolo di Stefano Rizzi sul periodico on line Lo spiffero del 16/01/23 che rappresenta bene una situazione diffusa e generalizzata nella maggior parte delle Sanità regionali italiane. È esperienza comune quella di arrivare alla struttura di trattamento delle emergenze conoscendo l’ora di arrivo, ma di non poter immaginare l’ora di uscita. Tale attesa può protrarsi anche oltre alla giornata di ingresso, non solo per motivi clinici dovuti alla necessità di osservazione del paziente su tempi prolungati.
Le motivazioni sono molte, dal lato dell’offerta di cura: la carenza di una medicina territoriale di accoglienza, in particolare notturna e festiva, del servizio di Continuità Assistenziale (ex Guardia medica), del numero di strutture di Pronto Soccorso, del numero di sanitari dei DEA destinati a ogni struttura, e della Case di Comunità che spesso sono solo sulla carta. Dal lato della domanda, la tipologia di patologie in ingresso: da una indagine del 2022 nella Regione Piemonte, è risultato che su circa 490.000 accessi dal 118, il 63 % sono codici verdi, spesso differibili o addirittura evitabili, tenendo conto che molti dei codici verdi, sono addirittura bianchi, ma classificati al livello superiore per evitare di far pagare il ticket previsto di 50 euro per la fascia meno grave; il 30 % sono codici gialli e, per fortuna dei pazienti, solo il 5 % sono codici rossi. Ciò fa crescere enormemente il numero di utenti in attesa e quindi intasa le strutture DEA.
È evidente come il livello di cure di basso livello o intensità prevale sul livello più critico, per il quale i tempi di servizio sono altamente significativi per il risultato della cura. La situazione critica rappresentata, che è ormai un’emergenza nel contesto dell’Emergenza, deve essere affrontata per i grandi numeri a livello strutturale con investimenti in personale, luoghi di cura negli ospedali e sul territorio, attrezzature, ecc., ecc.
Ma dal nostro punto di vista, in attesa della grande rivoluzione, a livello locale si possono attuare delle riorganizzazioni a basso investimento e a parità di risorse professionali e tecnologiche. E non ci si può adattare all’ineluttabilità dell’impossibilità dell’efficienza organizzativa in contesti di insufficienza di risorse. Alcuni anni or sono, ad esempio, abbiamo dimostrato in un Presidio Ospedaliero torinese che i consumi di farmaci in un DEA erano variabili, ma prevedibili nelle loro variazioni ed era possibile applicare una logica just in time con il sistema kanban.
Nell’articolo citato all’inizio, si descrive come in un ospedale piemontese è stata applicata una logica organizzativa di separazione dei flussi, garantendo personale dedicato per differenti attività, ad esempio gli esami diagnostici, le procedure formali di dimissione. Percorsi differenziati per diverse necessità, dove la classificazione per intensità di cura (i codici) e per tipo di attività determina una logica diversa dal dedicare il medesimo personale contemporaneamente a tutti i pazienti in arrivo. Ciò, a detta dell’articolo, ha ridotto di molto i tempi di attesa e incrementato la soddisfazione dei pazienti.
Questo approccio nel mondo industriale è ben consolidato ed è relativo alla suddivisione dei prodotti in classi ABC per quantità, valore, ecc., o per mercato oppure per tipo di servizio. Nel mondo industriale e commerciale è ben noto che le esigenze del destinatario finale determinano modalità di produzione, di distribuzione e di contatto con il cliente diversificate, all’interno della stessa azienda.
A causa di una necessità famigliare sono stato testimone diretto delle modalità di assistenza in una delle strutture in oggetto. Distaccandomi dal coinvolgimento emozionale, e cercando di eseguire un’analisi oggettiva di stampo organizzativo, mi si sono evidenziate molteplici criticità dipendenti solamente dal fatto che i processi erano stati costruiti dal punto di vista dell’esecutore e non del fruitore. L’ottica era quella di garantire una stabilità di processo agli operatori, indipendentemente dalle ricadute sui pazienti, senza soprattutto diversificazione tra le esigenze e categorie. Ho riportato in una mail le mie valutazioni, in modalità costruttiva, e le ho inviate alla Direttrice Sanitaria del Presidio. La risposta cortese e pronta è stata: prenderemo in considerazione le sue osservazioni.
In questa logica, un approccio utile è quello derivante dall’applicazione del Lean Management. In molte realtà ospedaliere, le logiche Lean sono diventate prassi e non più considerate come estranee al mondo sanitario, ma solamente applicabili alla manifattura. L’approccio lean si basa sull’analisi di dettaglio dei processi e dei flussi conseguenti, nella valutazione dei muda (sprechi), tra i quali il tempo di attesa è uno dei maggiori nemici di efficienza di un processo. Riducendo attività inutili, ripetizioni, riprese multiple di fasi lasciate incomplete, non si incrementa solo l’efficienza, ma, liberando tempo alle risorse, aumenta l’efficacia del servizio. Per estendere l’applicazione di queste metodiche non ci si può solo basare sulla presenza di sanitari, dirigenti od operativi, “illuminati” che hanno incrociato tali nozioni in qualche lettura o convegno, ma occorrerebbe avviare delle campagne di formazione, dal livello apicale ad estensione ai livelli operativi, sui contenuti del Lean Management, introdurre i concetti di Kaizen, passare dalla logica delle procedure a quella dei processi.
Sarebbe un sogno che nei programmi elettorali dei candidati alle prossime elezioni regionali fossero inseriti approcci riorganizzativi con queste logiche, e non solo piani di sviluppo edilizi e ipotesi di investimenti roboanti, per lo più promessi e poi non realizzati.
Le motivazioni sono molte, dal lato dell’offerta di cura: la carenza di una medicina territoriale di accoglienza, in particolare notturna e festiva, del servizio di Continuità Assistenziale (ex Guardia medica), del numero di strutture di Pronto Soccorso, del numero di sanitari dei DEA destinati a ogni struttura, e della Case di Comunità che spesso sono solo sulla carta. Dal lato della domanda, la tipologia di patologie in ingresso: da una indagine del 2022 nella Regione Piemonte, è risultato che su circa 490.000 accessi dal 118, il 63 % sono codici verdi, spesso differibili o addirittura evitabili, tenendo conto che molti dei codici verdi, sono addirittura bianchi, ma classificati al livello superiore per evitare di far pagare il ticket previsto di 50 euro per la fascia meno grave; il 30 % sono codici gialli e, per fortuna dei pazienti, solo il 5 % sono codici rossi. Ciò fa crescere enormemente il numero di utenti in attesa e quindi intasa le strutture DEA.
È evidente come il livello di cure di basso livello o intensità prevale sul livello più critico, per il quale i tempi di servizio sono altamente significativi per il risultato della cura. La situazione critica rappresentata, che è ormai un’emergenza nel contesto dell’Emergenza, deve essere affrontata per i grandi numeri a livello strutturale con investimenti in personale, luoghi di cura negli ospedali e sul territorio, attrezzature, ecc., ecc.
Ma dal nostro punto di vista, in attesa della grande rivoluzione, a livello locale si possono attuare delle riorganizzazioni a basso investimento e a parità di risorse professionali e tecnologiche. E non ci si può adattare all’ineluttabilità dell’impossibilità dell’efficienza organizzativa in contesti di insufficienza di risorse. Alcuni anni or sono, ad esempio, abbiamo dimostrato in un Presidio Ospedaliero torinese che i consumi di farmaci in un DEA erano variabili, ma prevedibili nelle loro variazioni ed era possibile applicare una logica just in time con il sistema kanban.
Nell’articolo citato all’inizio, si descrive come in un ospedale piemontese è stata applicata una logica organizzativa di separazione dei flussi, garantendo personale dedicato per differenti attività, ad esempio gli esami diagnostici, le procedure formali di dimissione. Percorsi differenziati per diverse necessità, dove la classificazione per intensità di cura (i codici) e per tipo di attività determina una logica diversa dal dedicare il medesimo personale contemporaneamente a tutti i pazienti in arrivo. Ciò, a detta dell’articolo, ha ridotto di molto i tempi di attesa e incrementato la soddisfazione dei pazienti.
Questo approccio nel mondo industriale è ben consolidato ed è relativo alla suddivisione dei prodotti in classi ABC per quantità, valore, ecc., o per mercato oppure per tipo di servizio. Nel mondo industriale e commerciale è ben noto che le esigenze del destinatario finale determinano modalità di produzione, di distribuzione e di contatto con il cliente diversificate, all’interno della stessa azienda.
A causa di una necessità famigliare sono stato testimone diretto delle modalità di assistenza in una delle strutture in oggetto. Distaccandomi dal coinvolgimento emozionale, e cercando di eseguire un’analisi oggettiva di stampo organizzativo, mi si sono evidenziate molteplici criticità dipendenti solamente dal fatto che i processi erano stati costruiti dal punto di vista dell’esecutore e non del fruitore. L’ottica era quella di garantire una stabilità di processo agli operatori, indipendentemente dalle ricadute sui pazienti, senza soprattutto diversificazione tra le esigenze e categorie. Ho riportato in una mail le mie valutazioni, in modalità costruttiva, e le ho inviate alla Direttrice Sanitaria del Presidio. La risposta cortese e pronta è stata: prenderemo in considerazione le sue osservazioni.
In questa logica, un approccio utile è quello derivante dall’applicazione del Lean Management. In molte realtà ospedaliere, le logiche Lean sono diventate prassi e non più considerate come estranee al mondo sanitario, ma solamente applicabili alla manifattura. L’approccio lean si basa sull’analisi di dettaglio dei processi e dei flussi conseguenti, nella valutazione dei muda (sprechi), tra i quali il tempo di attesa è uno dei maggiori nemici di efficienza di un processo. Riducendo attività inutili, ripetizioni, riprese multiple di fasi lasciate incomplete, non si incrementa solo l’efficienza, ma, liberando tempo alle risorse, aumenta l’efficacia del servizio. Per estendere l’applicazione di queste metodiche non ci si può solo basare sulla presenza di sanitari, dirigenti od operativi, “illuminati” che hanno incrociato tali nozioni in qualche lettura o convegno, ma occorrerebbe avviare delle campagne di formazione, dal livello apicale ad estensione ai livelli operativi, sui contenuti del Lean Management, introdurre i concetti di Kaizen, passare dalla logica delle procedure a quella dei processi.
Sarebbe un sogno che nei programmi elettorali dei candidati alle prossime elezioni regionali fossero inseriti approcci riorganizzativi con queste logiche, e non solo piani di sviluppo edilizi e ipotesi di investimenti roboanti, per lo più promessi e poi non realizzati.