25-01-2024
di Laura Pendolino, Raffaella Gornati, Emanuele Porazzi,
di Laura Pendolino, Raffaella Gornati, Emanuele Porazzi,
Il progressivo invecchiamento della popolazione e la recente esperienza della pandemia da Covid 19 impongono un ripensamento nella modalità di gestione delle malattie neurodegenerative croniche. Tra queste, meritevoli di particolare attenzione sono la Malattia di Parkinson e i Parkinsonismi (MP), al secondo posto in Italia per numerosità di persone affette dopo la demenza. Dall’esperienza maturata sul campo nella cura di questi pazienti e dalla revisione delle pubblicazioni scientifiche in merito al crescente incremento sia della numerosità dei pazienti che della complessità della patologia, nasce la proposta di un percorso di cura alternativo a quello attualmente in essere sul territorio regionale.
L’impatto della patologia è suffragato da un’analisi di contesto condotta nel territorio di due ATS lombarde (Milano e Insubria), da cui emerge nel periodo 2012-2017 un trend di crescita in costante aumento del numero di questi pazienti (grafico 1). La stratificazione dei pazienti cronici per livelli di complessità evidenzia un incremento importante soprattutto per il livello 2 in cui sono inseriti soggetti con comorbidità e/o con fragilità sociosanitaria e prevalenti bisogni extra-ospedalieri ad alta richiesta di accessi ambulatoriali integrati e semiresidenziali (grafico 2).
Al fine di valutare l’adeguatezza del modello attuale (AS IS), è stata condotta anche un’indagine conoscitiva, in collaborazione con alcune sedi lombarde dell’associazione As.P.I. (Varese, Cassano Magnago, Garbagnate Milanese), attraverso l’elaborazione di un questionario per autosomministrazione rivolto ai malati iscritti all’associazione e ai loro caregiver. Il questionario era volto ad indagare le difficoltà riscontrate per reperire le cure e l’assistenza necessarie in relazione all’evoluzione della malattia.
L’impatto della patologia è suffragato da un’analisi di contesto condotta nel territorio di due ATS lombarde (Milano e Insubria), da cui emerge nel periodo 2012-2017 un trend di crescita in costante aumento del numero di questi pazienti (grafico 1). La stratificazione dei pazienti cronici per livelli di complessità evidenzia un incremento importante soprattutto per il livello 2 in cui sono inseriti soggetti con comorbidità e/o con fragilità sociosanitaria e prevalenti bisogni extra-ospedalieri ad alta richiesta di accessi ambulatoriali integrati e semiresidenziali (grafico 2).Al fine di valutare l’adeguatezza del modello attuale (AS IS), è stata condotta anche un’indagine conoscitiva, in collaborazione con alcune sedi lombarde dell’associazione As.P.I. (Varese, Cassano Magnago, Garbagnate Milanese), attraverso l’elaborazione di un questionario per autosomministrazione rivolto ai malati iscritti all’associazione e ai loro caregiver. Il questionario era volto ad indagare le difficoltà riscontrate per reperire le cure e l’assistenza necessarie in relazione all’evoluzione della malattia.
Tra le risposte significative, sono emerse:
1. le difficoltà per reperire informazioni sulla malattia e sulla sua evoluzione, incluso la richiesta e l’inoltro di pratiche amministrative (domande di invalidità, prescrizione ausili), e per accedere alle attività di riabilitazione, socializzanti/ricreative ed educative;
2. la mancanza di punti di riferimento continuativi per il paziente/caregiver;
3. i costi elevati da sostenere per affrontare i problemi legati all’evoluzione della malattia (prestazioni non disponibili col SSN, farmaci non dispensati dal SSN, assenze dal lavoro del caregiver, necessità di assistenza nella vita quotidiana);
4. la necessità di accessi frequenti dal medico (spesso specialista) con cadenza almeno trimestrale;
5. Il coinvolgimento molto impegnativo per il caregiver e la sensazione di abbandono e di solitudine.
6. Il desiderio di una gestione unitaria ed integrata della presa in carico in cui le diverse figure professionali si coordinano tra loro anche attraverso una rete che garantisca la comunicazione e l’interazione con il paziente/caregiver;
7. La possibilità di poter fruire delle necessarie prestazioni sanitarie al domicilio o nelle immediate vicinanze;
8. L’importanza della relazione tra paziente e medico specialista di riferimento. Partendo dalle evidenze fornite dai pazienti, è stato analizzato ciò che avviene nel modello AS IS di presa in carico e cura del paziente nella fase intermedia della malattia, tralasciando le fasi iniziale e avanzata dove le esigenze terapeutiche e socio-assistenziali sono diverse.

Punto di forza dell’attuale modello è la presenza di centri specializzati di riferimento sul territorio regionale per la diagnosi e la cura della malattia. La presa in carico e la gestione del paziente parkinsoniano è appannaggio quasi esclusivo del medico neurologo in setting specialistici; il ruolo del medico di medicina generale (MMG) è marginale. Anche l’intervento di altri professionisti sanitari che partecipano attivamente al processo di cura (logopedisti, fisioterapisti, infermieri, psicologi, assistenti sociali, ...) è subordinato all’invio del paziente da parte del neurologo, raramente del MMG, in funzione dei bisogni rilevati. La carenza di figure di coordinamento gestionale ed operativo, utili al dialogo tra i diversi attori, tributa al neurologo il doppio ruolo di clinical e case manager, essendo al contempo deputato alla raccolta dei bisogni del paziente e al monitoraggio degli outcome durante le rivalutazioni periodiche. Nonostante il neurologo sia considerato un valido punto di riferimento dai pazienti, viene segnalata una difficoltà di contatto diretto con lo stesso e una periodicità delle rivalutazioni non compatibile col manifestarsi dei bisogni (sia per le liste di attesa, che per la durata delle visite, che per la complessità evolutiva della patologia che rende difficile la standardizzazione del percorso di cura).
A questo si aggiungono le difficoltà da parte dei pazienti/caregiver a reperire le corrette informazioni necessarie alla gestione dei disturbi legati all’evoluzione della patologia e ad identificare centri che svolgano attività di tipo informativo /educazionale e di supporto. Pertanto la presenza di una rete territoriale poco strutturata costituisce una debolezza intrinseca del sistema, poiché determina una frammentarietà della presa in carico del paziente, con un’incapacità del sistema stesso ad erogare risposte puntuali e tempestive ai bisogni emergenti. Da ciò deriva un ricorso improprio ai servizi, un aggravio sulle reti informali di supporto ed un aumento dei costi diretti ed indiretti. Nella successiva SWOT analisys sono stati sintetizzati i punti di debolezza e le minacce presenti nel modello attuale, evidenziando al contempo i punti di forza e le opportunità (figura 1).
Alla luce delle indicazioni contenute nel Piano Nazionale Cronicità del 2016 e nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), nel tentativo di superare le attuali criticità e tenendo in considerazione le indicazioni fornite dai pazienti/caregiver, è stato sviluppato un modello TO BE che si inserisce negli indirizzi programmatici di Regione Lombardia con la riforma del Sistema Socio-sanitario Lombardo, che prevede una riorganizzazione territoriale (mediante l’istituzione delle Case della Comunità, CdC, degli Ospedali di Comunità, OdC, e delle Centrali Operative Territoriali, COT) con una presa in carico “proattiva” dei pazienti cronici. Il modello è finalizzato a sviluppare una miglior gestione integrata e multidisciplinare del paziente sia sul profilo sanitario che su quello socio-assistenziale, attraverso la costruzione di progetti personalizzati a partire dal paziente stesso, dai suoi molteplici fattori di fragilità, dal suo contesto di vita e di relazioni, anche attraverso l’individuazione di operatori quali punto di riferimento continuativo nel tempo e la promozione di azioni di affiancamento e sostegno dedicate ai caregiver. Il nuovo modello viene illustrato nella figura 2, con evidenza anche dei setting e degli attori coinvolti nel processo. La rappresentazione grafica utilizzata simboleggia la centralità del paziente nel processo di cura e la circolarità del processo stesso, in cui il paziente rimane coinvolto in una gestione senza soluzione di continuità, che lo supporta e lo affianca durante tutto il percorso della sua malattia.

La valutazione dei bisogni del paziente avviene all’interno della CdC-spoke, mediante contatto diretto con il paziente (de visu o a distanza) da parte dell’Infermiere di famiglia e comunità (IFeC), che assume il ruolo di case manager. Gli input iniziali sono rappresentati dai bisogni del paziente, rilevati attraverso questionari specifici per la patologia, e destinati ad essere condivisi con il MMG.
L’attivazione dei processi di cura ed assistenza rimane in capo al MMG, che assume il ruolo di clinical manager. Dopo aver condiviso gli esiti della prima valutazione con l’IFeC, il MMG completa la valutazione del paziente, avvia gli accertamenti e le consulenze specialistiche individuando la disponibilità di risorse nei setting territoriali ed ospedalieri, attiva i servizi socio-sanitari e, in condivisione con il paziente, redige il piano di assistenza individuale (PAI).
Nei casi necessari il MMG, coordinandosi con la COT, potrà inviare il paziente al ricovero presso strutture ospedaliere per acuti o strutture di riabilitazione pubbliche o private accreditate. La presa in carico e la gestione del percorso del paziente potranno avvenire in setting diversi (ad es. CdC-hub, OdC) e con professionisti sanitari diversi (logopedista, fisioterapista, ecc.), che assumeranno di volta in volta il ruolo di case manager. Alcune attività potranno essere svolte al domicilio, in presenza o a distanza tramite strumenti di telemedicina (es. teleassistenza e teleriabilitazione).
La creazione di una rete con altre strutture sul territorio, quali le associazioni di volontariato, potrà favorire l’inserimento del paziente in attività socializzanti/ricreative, riabilitative ed educazionali. Nel modello TO BE è previsto un monitoraggio degli outcome attraverso la rilevazione dei bisogni soddisfatti da parte del case manager (IFeC nella CdC-spoke) e la somministrazione di scale validate in grado di cogliere la disabilità legata all’evoluzione della patologia. È importante sottolineare come l’outcome finale rilevato costituisce l’input iniziale per garantire la circolarità del processo.
Per realizzare il passaggio dall’AS IS al TO BE, sono fondamentali da un lato la formazione di nuove figure professionali all’interno delle strutture territoriali, dall’altro l’implementazione di piattaforme di collaborazione e di strumenti di telemedicina in grado di ridurre le distanze tra il paziente e coloro che sono deputati alla cura e all’assistenza. Tale modello permette di porre il paziente al centro di una rete di cura ed assistenza in cui il MMG e l’IFeC svolgono un ruolo fondamentale nel creare per ciascun paziente un percorso individualizzato, con risparmio di costi sia per il sistema che per il paziente/caregiver.
Qui accanto, sono descritti gli indicatori elaborati per misurare in un’ottica prospettica il processo TO BE proposto, lungo un orizzonte temporale compatibile con i tempi di attuazione e completamento degli interventi previsti dal PNRR vigente (31/12/2026).
1. le difficoltà per reperire informazioni sulla malattia e sulla sua evoluzione, incluso la richiesta e l’inoltro di pratiche amministrative (domande di invalidità, prescrizione ausili), e per accedere alle attività di riabilitazione, socializzanti/ricreative ed educative;
2. la mancanza di punti di riferimento continuativi per il paziente/caregiver;
3. i costi elevati da sostenere per affrontare i problemi legati all’evoluzione della malattia (prestazioni non disponibili col SSN, farmaci non dispensati dal SSN, assenze dal lavoro del caregiver, necessità di assistenza nella vita quotidiana);
4. la necessità di accessi frequenti dal medico (spesso specialista) con cadenza almeno trimestrale;
5. Il coinvolgimento molto impegnativo per il caregiver e la sensazione di abbandono e di solitudine.
6. Il desiderio di una gestione unitaria ed integrata della presa in carico in cui le diverse figure professionali si coordinano tra loro anche attraverso una rete che garantisca la comunicazione e l’interazione con il paziente/caregiver;
7. La possibilità di poter fruire delle necessarie prestazioni sanitarie al domicilio o nelle immediate vicinanze;
8. L’importanza della relazione tra paziente e medico specialista di riferimento. Partendo dalle evidenze fornite dai pazienti, è stato analizzato ciò che avviene nel modello AS IS di presa in carico e cura del paziente nella fase intermedia della malattia, tralasciando le fasi iniziale e avanzata dove le esigenze terapeutiche e socio-assistenziali sono diverse.

Punto di forza dell’attuale modello è la presenza di centri specializzati di riferimento sul territorio regionale per la diagnosi e la cura della malattia. La presa in carico e la gestione del paziente parkinsoniano è appannaggio quasi esclusivo del medico neurologo in setting specialistici; il ruolo del medico di medicina generale (MMG) è marginale. Anche l’intervento di altri professionisti sanitari che partecipano attivamente al processo di cura (logopedisti, fisioterapisti, infermieri, psicologi, assistenti sociali, ...) è subordinato all’invio del paziente da parte del neurologo, raramente del MMG, in funzione dei bisogni rilevati. La carenza di figure di coordinamento gestionale ed operativo, utili al dialogo tra i diversi attori, tributa al neurologo il doppio ruolo di clinical e case manager, essendo al contempo deputato alla raccolta dei bisogni del paziente e al monitoraggio degli outcome durante le rivalutazioni periodiche. Nonostante il neurologo sia considerato un valido punto di riferimento dai pazienti, viene segnalata una difficoltà di contatto diretto con lo stesso e una periodicità delle rivalutazioni non compatibile col manifestarsi dei bisogni (sia per le liste di attesa, che per la durata delle visite, che per la complessità evolutiva della patologia che rende difficile la standardizzazione del percorso di cura).
A questo si aggiungono le difficoltà da parte dei pazienti/caregiver a reperire le corrette informazioni necessarie alla gestione dei disturbi legati all’evoluzione della patologia e ad identificare centri che svolgano attività di tipo informativo /educazionale e di supporto. Pertanto la presenza di una rete territoriale poco strutturata costituisce una debolezza intrinseca del sistema, poiché determina una frammentarietà della presa in carico del paziente, con un’incapacità del sistema stesso ad erogare risposte puntuali e tempestive ai bisogni emergenti. Da ciò deriva un ricorso improprio ai servizi, un aggravio sulle reti informali di supporto ed un aumento dei costi diretti ed indiretti. Nella successiva SWOT analisys sono stati sintetizzati i punti di debolezza e le minacce presenti nel modello attuale, evidenziando al contempo i punti di forza e le opportunità (figura 1).
Alla luce delle indicazioni contenute nel Piano Nazionale Cronicità del 2016 e nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), nel tentativo di superare le attuali criticità e tenendo in considerazione le indicazioni fornite dai pazienti/caregiver, è stato sviluppato un modello TO BE che si inserisce negli indirizzi programmatici di Regione Lombardia con la riforma del Sistema Socio-sanitario Lombardo, che prevede una riorganizzazione territoriale (mediante l’istituzione delle Case della Comunità, CdC, degli Ospedali di Comunità, OdC, e delle Centrali Operative Territoriali, COT) con una presa in carico “proattiva” dei pazienti cronici. Il modello è finalizzato a sviluppare una miglior gestione integrata e multidisciplinare del paziente sia sul profilo sanitario che su quello socio-assistenziale, attraverso la costruzione di progetti personalizzati a partire dal paziente stesso, dai suoi molteplici fattori di fragilità, dal suo contesto di vita e di relazioni, anche attraverso l’individuazione di operatori quali punto di riferimento continuativo nel tempo e la promozione di azioni di affiancamento e sostegno dedicate ai caregiver. Il nuovo modello viene illustrato nella figura 2, con evidenza anche dei setting e degli attori coinvolti nel processo. La rappresentazione grafica utilizzata simboleggia la centralità del paziente nel processo di cura e la circolarità del processo stesso, in cui il paziente rimane coinvolto in una gestione senza soluzione di continuità, che lo supporta e lo affianca durante tutto il percorso della sua malattia.

La valutazione dei bisogni del paziente avviene all’interno della CdC-spoke, mediante contatto diretto con il paziente (de visu o a distanza) da parte dell’Infermiere di famiglia e comunità (IFeC), che assume il ruolo di case manager. Gli input iniziali sono rappresentati dai bisogni del paziente, rilevati attraverso questionari specifici per la patologia, e destinati ad essere condivisi con il MMG.
L’attivazione dei processi di cura ed assistenza rimane in capo al MMG, che assume il ruolo di clinical manager. Dopo aver condiviso gli esiti della prima valutazione con l’IFeC, il MMG completa la valutazione del paziente, avvia gli accertamenti e le consulenze specialistiche individuando la disponibilità di risorse nei setting territoriali ed ospedalieri, attiva i servizi socio-sanitari e, in condivisione con il paziente, redige il piano di assistenza individuale (PAI).
Nei casi necessari il MMG, coordinandosi con la COT, potrà inviare il paziente al ricovero presso strutture ospedaliere per acuti o strutture di riabilitazione pubbliche o private accreditate. La presa in carico e la gestione del percorso del paziente potranno avvenire in setting diversi (ad es. CdC-hub, OdC) e con professionisti sanitari diversi (logopedista, fisioterapista, ecc.), che assumeranno di volta in volta il ruolo di case manager. Alcune attività potranno essere svolte al domicilio, in presenza o a distanza tramite strumenti di telemedicina (es. teleassistenza e teleriabilitazione).
La creazione di una rete con altre strutture sul territorio, quali le associazioni di volontariato, potrà favorire l’inserimento del paziente in attività socializzanti/ricreative, riabilitative ed educazionali. Nel modello TO BE è previsto un monitoraggio degli outcome attraverso la rilevazione dei bisogni soddisfatti da parte del case manager (IFeC nella CdC-spoke) e la somministrazione di scale validate in grado di cogliere la disabilità legata all’evoluzione della patologia. È importante sottolineare come l’outcome finale rilevato costituisce l’input iniziale per garantire la circolarità del processo.
Per realizzare il passaggio dall’AS IS al TO BE, sono fondamentali da un lato la formazione di nuove figure professionali all’interno delle strutture territoriali, dall’altro l’implementazione di piattaforme di collaborazione e di strumenti di telemedicina in grado di ridurre le distanze tra il paziente e coloro che sono deputati alla cura e all’assistenza. Tale modello permette di porre il paziente al centro di una rete di cura ed assistenza in cui il MMG e l’IFeC svolgono un ruolo fondamentale nel creare per ciascun paziente un percorso individualizzato, con risparmio di costi sia per il sistema che per il paziente/caregiver.
Qui accanto, sono descritti gli indicatori elaborati per misurare in un’ottica prospettica il processo TO BE proposto, lungo un orizzonte temporale compatibile con i tempi di attuazione e completamento degli interventi previsti dal PNRR vigente (31/12/2026).
Conclusioni
Il momento è particolarmente favorevole per un cambio di prospettiva nella presa in carico del paziente parkinsoniano, in quanto stiamo assistendo ad un mutamento nello sviluppo dell’assistenza territoriale all’interno del SSN, passando da sistemi progettati intorno alle malattie e alle istituzioni verso sistemi progettati per le persone e con le persone. L’organizzazione all’interno della nuova rete territoriale potrà garantire la puntuale valutazione dei bisogni del paziente ed assicurare la circolarità delle informazioni, con risposte tempestive ed appropriate ai diversi bisogni di salute emergenti, riducendo l’isolamento del paziente/caregiver. Da ultimo, il setting e gli attori individuati per la sua realizzazione rendono il processo esportabile e replicabile in altri contesti territoriali regionali.
Il momento è particolarmente favorevole per un cambio di prospettiva nella presa in carico del paziente parkinsoniano, in quanto stiamo assistendo ad un mutamento nello sviluppo dell’assistenza territoriale all’interno del SSN, passando da sistemi progettati intorno alle malattie e alle istituzioni verso sistemi progettati per le persone e con le persone. L’organizzazione all’interno della nuova rete territoriale potrà garantire la puntuale valutazione dei bisogni del paziente ed assicurare la circolarità delle informazioni, con risposte tempestive ed appropriate ai diversi bisogni di salute emergenti, riducendo l’isolamento del paziente/caregiver. Da ultimo, il setting e gli attori individuati per la sua realizzazione rendono il processo esportabile e replicabile in altri contesti territoriali regionali.


