30-06-2018
Su dieci milioni di pazienti ricoverati ogni anno negli ospedali italiani, circa il 6% contrae un’infezione ospedaliera durante la degenza e l’1% di questi 600mila andrà incontro al decesso. In sintesi, le infezioni ospedaliere come polmoniti o setticemie (tecnicamente definite ICA, “infezioni correlate all’assistenza” sanitaria, quindi che non erano manifeste né in incubazione al momento del ricovero) causano direttamente almeno seimila morti l’anno: un numero ampiamente superiore anche a quello degli incidenti stradali. E che salirebbe ancora se venissero calcolati i decessi causati “indirettamente” dalle ICA.
Secondo il Report dello Studio Chiarini - frutto dell’esperienza dello studio nelle procedure di risarcimento per i danni derivati dalle ICA - circa la metà delle morti da ICA si eviterebbe con una corretta prevenzione che tutti gli ospedali sarebbero chiamati a rispettare. «Le più recenti revisioni critiche delle misure preventive delle ICA evidenziano il ruolo centrale della sterilità degli operatori e delle strumentazioni durante l’assistenza al malato» precisa l’avvocato Gabriele Chiarini in merito alla questione dell’“evitabilità”. «L’infezione va ricondotta non solo al luogo, ma anche alla procedura». Non va quindi considerata solo l’eventuale inadeguatezza dell’ospedale, ma anche quella di ogni operatore sanitario.
Secondo il Report dello Studio Chiarini - frutto dell’esperienza dello studio nelle procedure di risarcimento per i danni derivati dalle ICA - circa la metà delle morti da ICA si eviterebbe con una corretta prevenzione che tutti gli ospedali sarebbero chiamati a rispettare. «Le più recenti revisioni critiche delle misure preventive delle ICA evidenziano il ruolo centrale della sterilità degli operatori e delle strumentazioni durante l’assistenza al malato» precisa l’avvocato Gabriele Chiarini in merito alla questione dell’“evitabilità”. «L’infezione va ricondotta non solo al luogo, ma anche alla procedura». Non va quindi considerata solo l’eventuale inadeguatezza dell’ospedale, ma anche quella di ogni operatore sanitario.
I più frequenti veicoli di trasmissione delle infezioni ospedaliere sono infatti: le mani degli stessi operatori sanitari; gli oggetti che vengono in contatto con ferite o ustioni come aghi o bisturi, o quelli che entrano in contatto con mucose integre come endoscopi o portaimpronte odontoiatrici; gli oggetti di uso quotidiano come fonendoscopi o barelle; infine le pareti, i pavimenti, i sistemi di ventilazione e la rete idrica.
In caso di contenzioso è comunque la Struttura Sanitaria ad avere l’onere di fornire una documentazione completa che dimostri che siano state rispettate le più idonee ed efficaci misure atte a prevenire il contagio.
Il Report evidenzia come spesso la questione delle infezioni ospedaliere sia oltretutto «complicata da errori nella scelta della profilassi antibiotica, talvolta determinati anche da scelte di risparmio economico; tardiva diagnosi dell’ICA, spesso conseguente a disfunzioni e/o carenze organizzative; inidoneo trattamento dell’ICA, che produce lo sviluppo di resistenze agli antibiotici, che diventano così inidonei ad arrestare l’evoluzione sistemica, anche letale, dell’infezione».
«I dati raccolti» nota l’avvocato Chiarini, «suggeriscono l'opportunità di riportare il tema al centro del dibattito sul nostro Sistema Sanitario, notoriamente provato da una cronica carenza di risorse. La puntuale attuazione delle misure di prevenzione del rischio infettivo, infatti, consentirebbe non soltanto di promuovere la salute dei pazienti e salvare molte vite umane, ma anche di ridurre i costi connessi alle cure aggiuntive e agli indennizzi da erogare ai pazienti che abbiano contratto una ICA».
Un’attuazione che renderebbe finalmente giustizia ai progressi ottenuti da quando, un secolo e mezzo fa, si scoprì la necessità di lavarsi le mani e sterilizzare gli strumenti medici.
In caso di contenzioso è comunque la Struttura Sanitaria ad avere l’onere di fornire una documentazione completa che dimostri che siano state rispettate le più idonee ed efficaci misure atte a prevenire il contagio.
Il Report evidenzia come spesso la questione delle infezioni ospedaliere sia oltretutto «complicata da errori nella scelta della profilassi antibiotica, talvolta determinati anche da scelte di risparmio economico; tardiva diagnosi dell’ICA, spesso conseguente a disfunzioni e/o carenze organizzative; inidoneo trattamento dell’ICA, che produce lo sviluppo di resistenze agli antibiotici, che diventano così inidonei ad arrestare l’evoluzione sistemica, anche letale, dell’infezione».
«I dati raccolti» nota l’avvocato Chiarini, «suggeriscono l'opportunità di riportare il tema al centro del dibattito sul nostro Sistema Sanitario, notoriamente provato da una cronica carenza di risorse. La puntuale attuazione delle misure di prevenzione del rischio infettivo, infatti, consentirebbe non soltanto di promuovere la salute dei pazienti e salvare molte vite umane, ma anche di ridurre i costi connessi alle cure aggiuntive e agli indennizzi da erogare ai pazienti che abbiano contratto una ICA».
Un’attuazione che renderebbe finalmente giustizia ai progressi ottenuti da quando, un secolo e mezzo fa, si scoprì la necessità di lavarsi le mani e sterilizzare gli strumenti medici.